il sacro che il mondo non vede

09.08.2025

Viaggiare con le ceneri di tua madre al seguito evoca un'attesa di sacralità.

Ti aspetteresti che ogni passo si carichi di significato, come se il paesaggio stesso dovesse partecipare al rito di commemorazione, che le strade si trasformino in percorsi di memoria, i panorami diventino tributi silenziosi, e che ogni metro verso la destinazione ti avvicini a un'intima connessione con ciò che è stato e ciò che resta. Invece sono solo ceneri.

L'urna, sigillata, ti viene consegnata così com'è: un peso freddo da trasportare fino al cimitero di arrivo. Guardi ciò che resta e non puoi fare a meno di chiederti di che colore siano le ceneri, quale consistenza e odore abbiano, se sotto quel velo di metallo pulsi ancora qualcosa, come le braci in un braciere. È ancora tua madre o è semplice polvere?

Quando due sistemi si incontrano e si intrecciano, anche solo per un tempo breve, qualcosa di essenziale cambia per sempre. Anche se poi si allontanano, anche se lo spazio si stende tra loro per chilometri o anni luce, restano legati da un filo invisibile: serviva davvero la fisica per decretare che la distanza non basti per interrompere un legame?

La fisica quantistica va oltre però e ci insegna che ciò che accade all'uno vibra nell'altro, come un'eco che non conosce distanza né tempo: qualcosa anche in me si è ridotto in cenere? Correlazione, la scienza è capace di offrire parole freddissime per questioni ustionanti.

Se le particelle dei vostri due corpi, dopo aver condiviso un ultimo tocco, non possono più dirsi davvero separate, resta in quella cenere l'informazione di quell'ultima carezza? Oppure lei è andata oltre, lasciandoti sospesa nel tempo, in quell'istante in cui, dopo il bacio più dolce che abbia mai dato sulla sua guancia, la sua mano ha sfiorato prima il suo viso e poi il mio come a dire ci penso io a me e anche a te. Ti muovi con quel fardello di ceneri, emozioni e domande. Eppure, dentro, resti immobile nella stanza d'ospedale dove vi siete scambiate quell'ultimo drammatico, dolcissimo saluto.

Prima di consegnare l'urna al cimitero in cui ha chiesto di essere seppellita accanto ai suoi genitori, decidi di portarla al mare, alla sua spiaggia prediletta. È un lunedì d'agosto, come tanti della tua infanzia. La spiaggia brulica di persone, il bar è un alveare di turisti e la musica invade l'aria. Un maestrale potente scompiglia i capelli e la sua gelida aria penetra nelle ossa. Avranno freddo anche le ceneri dentro l'urna? I bambini a riva costruiscono castelli di sabbia.

All'arrivo, appoggi l'urna sul muretto a secco che separa il parcheggio dalla spiaggia. Resti lì, immersa nel vento, a lasciar correre via i pensieri. Poi, percorri i pochi metri verso il mare, prendi un pugno d'acqua nel palmo della mano e bagni l'urna, un gesto quasi di benedizione per quel peso ingombrante. Il vento urla, i bambini gridano, la musica pulsa dal bar. in quel momento, tutto tace dentro di te. Solo il suono dell'acqua nella tua mano che cade sull'urna ti sembra vero.

Nulla di tutto questo ha valore sacro agli occhi del mondo. Non solo il panorama è completamente non curante, ma nessuno nota il tuo rito. Forse non ti hanno neppure vista. Forse è proprio questo segreto a rendere sacre le cose: il silenzio custodito nelle stanze del cuore.